Il 2022 segna il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Ostia, 1975), uno degli intellettuali più significativi e originali del nostro Dopoguerra.
Poeta e romanziere, ma anche regista, drammaturgo, giornalista e pittore, Pasolini ha posto al centro della propria creatività inquieta la contaminazione fra linguaggi diversi e la riflessione sulla lingua, che intendeva come teatro di una battaglia fra libertà e omologazione.
Nel nostro presente, dominato da un flusso di notizie che corrono sul crinale incerto fra realtà e propaganda, la voce di Pasolini può restituire chiavi preziose alla nostra comprensione della realtà.
Per questo, abbiamo voluto raccontare Pasolini attraverso l’incontro – che fu per lui cruciale – con Roberto Longhi, illustre storico dell’arte, suo professore a Bologna, tra 1941 e 1942.
In quell’inverno di guerra, Pasolini seguì il corso dedicato da Longhi ai Fatti di Masolino e di Masaccio. Il percorso proposto da Longhi metteva a fuoco la fondazione del nostro Rinascimento, negli anni Venti del Quattrocento a Firenze, attraverso il rapporto tra un maestro anziano (Masolino), incarnazione del Gotico ormai al tramonto, e un pittore giovane e rivoluzionario (Masaccio), che fonda una lingua pittorica nuova.
Nello scontro tra vecchi e giovani, la generazione di Pasolini non poteva che leggere anche la propria opposizione al Regime fascista ormai al collasso.
Ricordando il corso di storia dell’arte che aveva seguito a Bologna, Pasolini scrisse:
Se penso alla piccola aula (con banchi molto alti e uno schermo dietro la cattedra) in cui ho seguito i corsi bolognesi di Roberto Longhi, mi sembra di pensare a un’isola deserta, nel cuore di una notte senza più luce.
L’importanza del corso tenuto da Longhi fu quindi, per il poeta, esistenziale e il significato dell’incontro con il professore andò ben oltre quello tra studente e docente.
Per questo, il titolo dello spettacolo, Fatti di Pier Paolo Pasolini e di Roberto Longhi, richiama esplicitamente il tema del corso seguito dal giovane poeta.
Pasolini infatti, che pubblicava proprio in quegli anni la sua prima raccolta poetica, raccontò di essere stato “folgorato” da Longhi: la storia dell’arte, il racconto attraverso le immagini continuarono a germinare in lui fino all’approdo al linguaggio del cinema, nel 1961, con Accattone.
Per ammissione dello stesso Pasolini, Accattone era volutamente un film “masaccesco”: il regista, anche attraverso una serie di scelte tecniche e figurative, cercò di riprodurre lo stesso senso di presenza volumetrica e la stessa intensità chiaroscurale che Longhi gli aveva fatto conoscere negli affreschi di Masaccio.
Il racconto del rapporto di Pasolini con la storia dell’arte, la cui ricostruzione storica condotta attraverso le immagini viene presa a modello per il montaggio e per la narrazione cinematografica, attraversa per intero la vita del poeta.
Ricordando le lezioni di Longhi, con le diapositive che si incalzavano nel buio dell’aula, montate in sequenza e interpretate dalle parole del grande storico dell’arte, Pasolini paragonava il susseguirsi dei vetrini a un “continuum quasi cinematografico”.
Tra i momenti in cui questo rapporto assume una speciale rilevanza nel cinema di Pasolini vanno ricordati il cortometraggio La ricotta (1963), che include la messa in scena di due pale d’altare del Cinquecento, e il Decameron (1971), in cui Pasolini stesso riveste il ruolo di un pittore giottesco, mettendo così a nudo il parallelismo tra regia e arti figurative.
Lo spettacolo
Elemento dominante della scena è uno schermo, terreno comune a una lezione di storia dell’arte e a una sala cinematografica.
Lo schermo accoglie tanto le immagini dell’arte antica, quanto gli spezzoni dei film di Pasolini.
Un ruolo speciale nella narrazione è affidato alla musica, che commenta dal vivo – con musiche in parte desunte dai film pasoliniani, e a cui il poeta era particolarmente legato – le sequenze cinematografiche e le varie fasi dello spettacolo. Paola Giuffrè al flauto barocco e Remo Guerrini alla viola costituiscono l’elemento che salda insieme i momenti del racconto.
Punto di partenza della narrazione teatrale è l’incontro tra Pier Paolo Pasolini e Roberto Longhi.
Se Roberto Longhi è presente in scena, attraverso l’interpretazione di Luca Vivona, che dello spettacolo è anche regista, si è preferito lasciare in luce un leggío vuoto, a significare la mancanza dolorosa e presente della figura di Pasolini.
Roberto Longhi parla attraverso le parole dei suoi scritti, e commenta diapositive in bianco e nero, simili a quelle che furono proiettate nell’aula bolognese, nell’inverno del 1941. Longhi si pone fisicamente in prossimità con il pubblico, a cui sta tenendo una lezione.
L’intera vicenda viene ricostruita e narrata da Eleonora Onghi, autrice del soggetto, in un dialogo costante con le immagini, con la musica e con gli interventi “d’epoca” di Roberto Longhi.
Il risultato è una narrazione teatrale che inquadra in maniera non scontata l’opera e l’identità di Pier Paolo Pasolini, e che ne restituisce lo spessore contaminando fra loro – con un procedimento veramente pasoliniano – linguaggi e forme di espressione diverse.
Fatti di Pier Paolo Pasolini e di Roberto Longhi
soggetto – Eleonora Onghi
sceneggiatura e regia – Luca Vivona
con
Paola Giuffrè – flauto
Remo Guerrini – viola
Eleonora Onghi – narratore
Luca Vivona – Roberto Longhi
assistente alla regia – Giorgia Ho
audio e luci – GMS Eventi
produzione – Neocene
Guidonia, Teatro Imperiale
Piazza Giacomo Matteotti
Venerdì 11 novembre, ore 21.00 - Ingresso gratuito
Lo spettacolo è stato realizzato con il contributo della Regione Lazio e dell’Associazione Metropoli Roma.
Luca Vivona (sceneggiatura e regia) nel ruolo di Roberto Longhi
I musicisti: Remo Guerrini (viola), Paola Giuffré (flauto)
Eleonora Onghi (narratrice e autrice del soggetto)
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