di Claudia Crocchianti
Giovedì 29 febbraio alle 18:00 presso la sede di Una Nuova Storia in via Parmegiani 24 a Tivoli, Massimiliano Smeriglio presenta il suo nuovo romanzo "Mio padre non mi ha insegnato niente", pubblicato da Fuoriscena Libri.
Massimiliano, come è nata l’idea di scrivere questo libro?
Essendo una storia che mi riguarda da vicino la portavo con me da un bel po’ di tempo. Una storia minima, dolorosa, un interno proletario con le sue risorse e le sue enormi fragilità. Un mondo ordinato, in bianco e nero, freddo, povero, denso di vita impilata male. Patriarcale e maschilista. Ma anche una storia di riscatto fondata su un sistema di affetti larghi, del villaggio educante, di un quartiere che protegge, di una istintiva appartenenza di classe, di un movimento operaio vivo e forte, di mamme collettive, di nonni importanti e di una banda dei pari che è riparo e condivisione.
Un pezzo di storia importante: cosa ha rappresentato questo per l’Italia?
Una storia minima infilata nella storia grande del secondo 900. Una memoria lunga che arriva a ritroso fino alla seconda guerra mondiale, alla lotta di liberazione, alla Resistenza, e risalendo si ricongiunge alla fine del secolo breve, con una lente d’ingrandimento sulla seconda metà degli anni sessanta e sugli anni settanta ottanta. Un tempo che ratifica la fine di un’ epoca e l’inizio di una modernizzazione selvaggia che fa saltare in aria relazioni e culture millenarie che, dalla notte dei tempi, erano giunte sino alla soglia della storia contemporanea. La perdita di volume e importanza politica del mondo operaio, contadino
e artigianale.
Presenterà il libro a Tivoli, perché questa scelta?
Perché è una città importante della mia Regione e perché ho un rapporto speciale con il movimento civico “Una nuova storia”. Sono contento perché con me ci saranno Nicole Pappalardo, Riccardo Coccia e Francesca Chimenti.
Cosa rappresenta per lei la scrittura?
La scrittura è parte integrante della mia vita, un modo per dare forma alle emozioni, fissarle, non lasciarle scappare, il tentativo di fermare per sempre un momento, un ricordo, il movimento di una mano, le sensazioni di un incontro sfiorato. Ho sempre scritto molto, articoli, saggi politici e accademici, ma la scrittura libera che offre un romanzo non ha pari, si mescola nel romanzo la tecnica, la ricerca ossessiva della parola ma anche la bellezza di definire autonomamente i confini, ciò che è dicibile dunque raccontabile e quello che dobbiamo custodire nel profondo dell’anima.
Una frase che raccolga il libro?
“Si può essere branco senza diventare iene”. In tempi di relazioni immateriali e di profonde solitudini il tema della dimensione collettiva, dell’essere insieme ad altri, di sentirsi parte di una comunità, di condividere una visione del mondo e parteggiare per me rimane centrale. Anche usando la scrittura in maniera militante, dalla parte di chi continua a non avere spazi e opportunità.
Tre aggettivi per descriversi?
Affamato di vita, timido, generoso.
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