di Claudia Crocchianti -
Il fotografo tiburtino Raimondo Luciani e il suo libro “Appunti di buddismo e fotografia” in quest’intervista che ci ha rilasciato per Tivoli Guidonia City.
Come è nata l'idea di scrivere il libro "Appunti di Buddismo e Fotografia"?
“C’è un legame abbastanza noto tra Buddismo e Fotografia, ed è dovuto al fatto che Henry Cartier Bresson dopo aver letto Lo zen e il tiro con l’arco, scritto nel 1948 da Eugene Herrigel, ne rimase particolarmente colpito e ispirato, al punto che questo libro ebbe un ruolo decisivo nel suo modo di descrivere la fotografia. Lo Zen, essendo solamente una delle varie scuole derivanti dagli insegnamenti originali di Shakyamuni, non completa in maniera esauriente la filosofia buddista, così ho cercato di approfondire l’argomento cercando materiale di altro tipo, in particolar modo ero interessato alla scuola buddista di Nichiren Daishonin. Quasi tutto il materiale che sono riuscito a trovare riguardava lo Zen, che tra l’altro è una scuola che è stata confutata dal Daishonin, così ho pensato che, se quel che cercavo non c’era, avrei potuto provare a scrivere io qualcosa in merito. Ho iniziato a buttar giù degli appunti, dapprima prendendo spunto da alcuni principi buddisti e considerazioni sulla fotografia, completando poi il tutto con la narrazione di esperienze personali, ovviamente legate al mio percorso, in particolare quello fotografico, in cui la pratica buddista mi ha reso in grado di percepire e fotografare andando oltre la superficie di ciò che si pone davanti all’obiettivo... Man mano che andavo avanti questi appunti hanno preso sempre più corpo, dando origine all’idea di trasformarli in un libro, ed è quello che poi è successo”.
Cosa rappresenta la fotografia per te?
“Per me la fotografia è stata ed è tuttora una scelta di vita, oltre che una grande passione. Nel primo capitolo del libro parlo proprio di come, nel 1988, è nato questo grande amore e di come una serie di casualità mi abbiano portato a decidere di lasciare il mio precedente lavoro di programmatore per imbarcarmi nel vasto oceano della fotografia, prima da appassionato e subito dopo da professionista. Sono molto curioso, e l’utilizzo di una macchina fotografica, dandomi la possibilità di guardare il mondo attraverso un obiettivo, mi permette di osservarlo e descriverlo in maniera molto personalizzata”.
Il buddismo, quando ti sei avvicinato e perché?
“Al buddismo mi sono avvicinato in maniera del tutto casuale nel 2003, dopo una quindicina d’anni dal mio primo incontro con la fotografia. Anche questo episodio è descritto in uno dei capitoli del libro. Come ho già detto sono molto curioso, e sempre alla ricerca di cose nuove di cui approfondire la conoscenza. C’è anche da dire che ho sempre dato molta importanza all’aspetto spirituale degli esseri viventi, al di là di quella che può essere una singola religione o filosofia, così quando un amico mi ha invitato per la prima volta a un incontro in cui si parlava di buddismo, sono stato ben felice di andare, e trovando il tutto molto interessante, ho continuato e continuo ancora oggi ad approfondire la conoscenza di questa pratica che ha come fine ultimo la pace nel mondo e la felicità di tutti gli esseri viventi”.
Un'esperienza importante questa della scrittura, cosa rappresenta per te quest'arte?
“Non mi definisco né mi sento uno scrittore, piuttosto un lettore, ma mi sono divertito a cimentarmi in questa nuova avventura, e basandomi sulle opinioni di chi ha letto il libro, penso di essermela cavata abbastanza bene”.
Una fotografia a cui sei legato?
“Ce ne sono molte, ognuna con la sua storia. Nel libro, oltre al testo, c’è anche una selezione di fotografie di vario genere, dal ritratto al paesaggio, che illustrano visivamente parte del mio percorso. Tra i motivi più profondi che ci legano a una fotografia, al di là della buona riuscita della stessa, credo ci sia il ricordo di qualcosa che non c’è più, che sia esso un luogo, un affetto o una situazione. Dovendo scegliere, opterei per un ritratto di mia madre”.
Un ricordo o un aneddoto legato alla città di Tivoli?
“Tivoli è stata la mia prima 'palestra', è qui che ho acquistato la mia prima macchina fotografica ed è nata la mia passione per la fotografia, ma la mia professione si è sviluppata principalmente a Roma e a Milano, con sviluppi che hanno portato le mie fotografie su libri, periodici e dischi in tutto il mondo. Un bel ricordo, fotograficamente parlando, che mi lega alla città di Tivoli, è quello legato all’organizzazione della mostra 'Abbracci' nel 2017. 'Abbracci' era un progetto in favore del Centro di Integrazione Sociale di Tivoli, per sensibilizzare alla realtà di chi ha più bisogno del nostro amore. Quel che ho particolarmente a cuore di questo progetto è stato l’utilizzo della fotografia per uno scopo socialmente utile, mettendo in evidenza i legami di solidarietà rappresentati appunto dagli abbracci fotografati. Un'altra bellissima esperienza tiburtina, stavolta più musicale che fotografica, è stata la realizzazione del Festival Tivoli Rock, un traguardo a cui sono arrivato sempre partendo dalla fotografia, che unita alla passione per la musica, mi ha consentito di realizzare quello che per gli appassionati del genere è stata una delle più belle e importanti manifestazioni che siano mai state organizzate in questa città”.
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